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sabato 29 settembre 2018

Il calendario di ottobre 2018

Con grande scandalo degli chef, stellati e non, dal 1 marzo 2018 in Svizzera non sarà più possibile mettere a bollire l’aragosta viva. Lo vieta una legge appena varata e non c’è dubbio che anche l’Europa si allineerà con questa norma.

D’altra parte, al di là dell’esistenza delle leggi, c’è chiedersi se ancora esista qualcuno, tra gli Amici di Cometa e più in generale tra gli amici degli animali, che mangi l’aragosta.

Ma questo qualcuno - che certamente inorridisce all’idea di buttare un’aragosta in una pentola di acqua bollente - magari non esita a vestirsi con un bell’abito di seta, o a portare una cravatta di seta.

Che c’entra? C’entra eccome: non tutti sanno che per confezionare un capo di seta vengono bolliti vivi, vivissimi, centinaia di animali, ovvero le crisalidi della farfalla Bombyx mori.

Il cosiddetto “baco da seta” è un bruco, nasce piccolissimo ma nel giro di sei settimane, se ha a disposizione foglie di gelso, raggiunge la lunghezza di quasi 10 cm. A quel punto il bruco, rilasciando la sua bava, crea intorno a sé un bozzolo costituito da un filo ininterrotto di proteine lungo centinaia di metri, all’interno del quale si dispone alla trasformazione in farfalla. Questo filo è proprio la seta. Per impedire che la farfalla esca dal bozzolo, rompendolo e quindi spezzando il filo, gli allevatori lo immergono in acqua bollente, uccidendo la crisalide. Si stima che per produrre un chilo di seta siano necessari da 2000 a 3000 bozzoli, come dire altrettanti animali che verranno bolliti vivi, e il fatto che si tratti di insetti non dovrebbe essere una ragione per assolverci dalla crudeltà della quale chiunque indossi un capo di seta si rende complice.

Dobbiamo quindi rinunciare alla bellezza della seta e al piacere di indossarla? non è detto: a partire dal 1992 in India è stato messo a punto un nuovo metodo di produzione che consente alla crisalide (di Bombyx ma anche di altri lepidotteri) di uscire dal bozzolo, di trasformarsi in farfalla e di volarsene via. Il filo che così si ottiene è più corto di quello prodotto col metodo tradizionale e il tessuto finale è più ruvido e, probabilmente, un po’ più costoso. Questa seta è nota col nome di Peace Silk o anche Amisha Silk.

Anche se l’Amisha non incontra i favori dei vegani di osservanza rigorosa (perché comunque il processo sfrutta un animale) resta il fatto che per indossare questa seta non si deve pagare un prezzo di vite animali.

Non ci risulta che l’Amisha venga prodotta fuori dall’India, anche se qualche industriale italiano afferma di produrre “seta etica”, intendendo in realtà seta prodotta in Italia col tradizionale metodo della bollitura dei bozzoli. Insomma: diffidate dalle imitazioni!

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