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giovedì 29 novembre 2018

Il calendario di dicembre 2018

La tradizione di rappresentare la Natività di Gesù attraverso il presepio può essere fatta risalire a San Francesco che - tornato dalla Palestina nella nativa Umbria - ebbe da papa Onorio III l’autorizzazione a rievocare la scena a Greccio, che gli pareva molto simile ai villaggi da lui visitati in Terra Santa. Siamo nel 1223, e negli anni successivi il presepio si diffuse progressivamente in tutto il mondo cristiano. L’idea dei regali di Natale il Cristianesimo la prese dalla tradizione classica dei Lari (immagini degli antenati che avevano il compito di proteggere la famiglia): ai bambini veniva assegnato il compito di lucidare e disporre le statuette dei defunti e lasciar loro ciotole con vino e cibo che al mattino successivo venivano sostituite con dolci e giocattoli “portati” dai defunti.

Questo rito e il suo valore simbolico si mantenne più o meno invariato fino alla seconda metà dell’ 800, quando la regina Margherita, consorte di Umberto I e prima regina italiana, giunta al Quirinale, decise di addobbare, per Natale, un albero: è la prima contaminazione di un rituale tutto italiano con elementi provenienti da un’altra cultura, tipicamente nordeuropea.

Più recente è un’altra contaminazione, quella che accosta alla Natività la figura di Babbo Natale. Si tratta di una figura mitica, forse risalente alle feste dei Saturnali che nell’antichità romana si celebravano in concomitanza col solstizio invernale, di cui il Cristianesimo si appropriò identificando il dio Saturno con San Nicola, vescovo del IV secolo, patrono dei bambini (ma anche di marinai, mercanti, farmacisti, avvocati, detenuti, ragazze da marito) nonché patrono di Bari. Se questa è l’origine di Babbo Natale l’icona penetrata nella nostra cultura attuale è indubbiamente la forma recente che il buon vecchio ha assunto negli USA, dove viene chiamato Santa Claus.

Questi eventi determinarono un allargamento della piccola famiglia di animali coinvolti nella Natività: al bue e all’asino che scaldarono Gesù bambino e ai cammelli e dromedari su cui viaggiavano i Magi ne venne accostato un altro: la renna, del tutto ignota alle nostre latitudini, e men che meno in Palestina. Il colpevole è il poeta americano Clement Clarke Moore (1779-1863)* che martedì 23 dicembre 1823 pubblicò sul quotidiano Sentinel Troy una celebre poesia che inizia così

Era la notte prima di Natale e tutta la casa era in silenzio,
nulla si muoveva, neppure un topino.
Le calze, appese in bell'ordine al camino,
aspettavano che Babbo Natale arrivasse.


La poesia battezza anche le renne che trascinano la slitta di Babbo Natale: il gioco era fatto e la renna entrò di diritto nel piccolo zoo natalizio.

Per chi vive in Italia incontrare una renna (Rangifer tarandus) è praticamente impossibile. Ne esistono 14 specie (più una estinta) che vivono tutte nelle zone artiche e subartiche, principalmente in Scandinavia, Siberia e nel Nord America (dove la renna è denominata caribù). Sono stati fatti esperimenti di introduzione della renna nelle isole dell’Antartico, attualmente abbandonati a causa dei danni che la specie alloctona provocava all’ambiente.

Si tratta di un animale quanto mai interessante che colleziona non pochi primati, tra cui la possibilità di vedere la luce ultravioletta, che gli consente di individuare oggetti (cibo, ma anche tracce di pericolo) nel candore uniforme delle regioni artiche, unitamente a un naso sensibilissimo e di grandi dimensioni e a uno zoccolo adatto a camminare sulla neve senza affondare, a correre (fino a 80 km all’ora), a scavare e anche a nuotare. La renna è l’animale terrestre che compie le migrazioni più lunghe (fino a 5.000 chilometri) e che si aggrega nelle mandrie più numerose, fino a mezzo milione di esemplari. Assistere alla migrazione delle renne, per chi non tema il freddo polare, è un’esperienza impressionante, perché l’enorme gruppo compatto si muove velocemente senza arrestarsi davanti a corsi d’acqua e bracci di mare.

La coesione delle mandrie e la velocità di trasferimento è una garanzia contro i predatori: a parte il lupo grigio, che è in grado di assalire individui adulti, gli altri carnivori si limitano a cacciare i piccoli o gli animali più deboli quando restano isolati. Paradossalmente la maggior causa di morte delle renne (che sono animali di notevole dimensione: le specie più grandi superano i 200 kg) sono gli insetti che si nutrono del sangue dei vertebrati, come (ma non solo) le zanzare, che sono in grado - durante i mesi estivi - di causare elevatissimi livelli di stress nella renna, che giunge a interrompere l’alimentazione e a lasciarsi morire.

L’esistenza della renna ha garantito la sopravvivenza di molti popoli delle zone circumpolari che hanno imparato ad addomesticarla in epoca preistorica, probabilmente a partire dal 2000 a.C.. Per l’economia di questi piccoli gruppi etnici (come i Sami della Scandinavia, gli Ostiachi e gli Evenchi della Russia, gli Inuit nel Nordamerica e molti altri) che vivono in ambienti estremi, l’allevamento della renna è ancora oggi un elemento essenziale di sopravvivenza: fornisce carne**, latte, abiti, cuoio e mezzi di trasporto (le grandi renne possono essere cavalcate e quelle più piccole aggiogate alle slitte, come nel caso di Babbo Natale). Molti di questi popoli sono nomadi e i loro percorsi seguono quelli delle mandrie di renne.

Buone Feste a tutti i nostri Amici

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* l’attribuzione è in realtà incerta. Secondo altri storici il vero autore sarebbe Henry Livingston Jr., che avrebbe composto il poema tra il 1804 e il 1805. La poesia sarebbe stata udita da una donna divenuta in seguito istitutrice dei bambini di Moore, che ne sarebbe così venuto a conoscenza. Moore - insegnante e teologo - non può comunque essere accusato di plagio perché la pubblicazione sul quotidiano di Troy (NY) avvenne senza il suo consenso (fu una sua amica, la signorina Harriet a spedire la poesia al Sentinel Troy, all’insaputa di Moore, cui fu attribuita solo nel 1838). Chi volesse leggerne il testo integrale (tradotto) può trovarlo qui

** la nostra Associazione è contraria alla caccia praticata come inutile sport crudele, ma conserva il massimo rispetto per quelle popolazioni che ancora oggi sono costrette a cacciare per la loro sopravvivenza fisica e culturale (ad esempio: la campagna di Geenpeace che ha portato al divieto della caccia alle foche - animali anch’essi cacciati dagli Inuit - ha indotto lo snaturamento della cultura di questa popolazione che si manifesta con elevatissimi tassi di alcoolismo e suicidio)

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