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giovedì 1 aprile 2021

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L'estinzione del Dodo

Quando parliamo di estinzione di una specie pensiamo subito a qualcosa avvenuto in epoche preistoriche per cause naturali o a qualche evento attualmente in corso, di solito dovuto al comportamento umano. Anche se meno drammatiche delle grandi estinzioni preistoriche* le estinzioni in epoca storica (ovvero contemporanee alla presenza dell’uomo sulla Terra) sono state non poche e - a differenza di quelle antiche - hanno colpito selettivamente singole specie o gruppi di specie non in grado di adattarsi alla presenza dell’uomo o ai mutamenti ambientali.

In realtà i nostri antenati hanno poca responsabilità nell’estinzione della Tigre dai denti a sciabola (Smilodont), del Mammut (Mammuthus columbi), dell’Orso delle caverne (Ursus spelaeus) e di molti altri animali che sono scomparsi dopo aver convissuto con la specie homo per  qualche migliaio di anni. Per questi la caccia è stata sicuramente una concausa, ma era una lotta ad armi pari, lance rudimentali contro zanne e artigli, e non certo in grado di cancellare una intera specie dalla faccia della terra. Ma mano a mano che ci si avvicina all’epoca contemporanea il numero dei cacciatori e il loro appetito cresce, i gruppi umani si organizzano, le armi si fanno sofisticate, nascono interessi commerciali, ed ecco che già nel 1400 a.C. il commercio dell’avorio decreta la scomparsa dell’Elefante della Cina (Elephas maximus rubridens), seguita da quella di molti altri animali.

Intorno al 1500, all’epoca dei grandi viaggi di scoperta di nuovi continenti, avvenne un elevato numero di estinzioni. Marinai ed esploratori toccavano finalmente terra e dopo mesi di denutrizione predavano tutto ciò che avesse l’aspetto di poter essere mangiato. Spesso queste nuove terre erano isole, grandi o piccole, dove si erano sviluppate specie endemiche, magari del tutto prive di difesa per la mancanza di predatori locali. Così, ben prima dell’inquinamento e dei pesticidi, pochi uomini affamati sterminarono una quantità di animali e piante; non in tutte le spedizioni vi era qualche scienziato che documentasse le forme di vita che si andavano cancellando, sicché di molti di questi esseri noi ignoreremo per sempre l’esistenza.

L’isola di Mauritius, insieme alle altre isole minori che costituiscono l’omonimo arcipelago, nacque da una catena vulcanica sommersa circa 10 milioni di anni fa; era giovane, piccola (la superficie è una volta e mezza quella del comune di Roma) e lontano da tutto (la terra più vicina è il Madagascar, 900 km a ovest). Godeva quindi delle condizioni ideali per restare a lungo inosservata e disabitata. Flora e fauna specifiche prosperarono per migliaia di anni sottoposte alle sole leggi della natura fino al 1598, quando i coloni olandesi crearono un primo insediamento. Purtroppo il più emblematico degli animali di Mauritius è estinto da quasi 500 anni.

Si tratta del Dodo (chiamato anche Dronte, nome scientifico Raphus cucullatus), una specie di grosso colombo che in un certo senso nacque sull’isola e vi visse felicemente a lungo. Proprio nella sua vita tranquilla si annida la ragione della sua scomparsa: benché i suoi progenitori fossero giunti in volo sull’isola, una volta lì il nostro scoprì che non vi erano predatori, che il cibo era abbondante, il clima costante e quindi non era più necessario sprecare energia volando. Così il Dodo cambiò la sua vocazione da volatile a terrestre: le ali si atrofizzarono, il becco assunse una forma tale da raccogliere il cibo e soprattutto da spaccare le abbondanti noci di cocco, le uova vennero deposte a terra, la dimensione dell’uccello aumentò fino a quasi un metro e il peso superò i 30 kg. Una vita pigra e beata che terminò bruscamente verso la metà del 1600, quando in pochi anni il Dodo scomparve.

Non fu la caccia a sterminarlo (sembra che la sua carne non fosse appetibile) ma l’introduzione, ad opera dei coloni, di specie alloctone quali cani, gatti, manguste, maiali e scimmie (per non parlare dei ratti che sbarcavano dalle navi) che ne distruggevano sistematicamente le uova. Una ragione collaterale - secondo alcuni ricercatori - potrebbe essere stata l’eliminazione, per far posto alle culture, delle foreste di Tambalacoque, dei cui frutti il Dodo si nutriva.

Del Dodo non esiste più nulla, se non qualche reperto fossile. L’ultimo esemplare impagliato, esposto in un museo di Oxford, fu gettato nel 1755 perché corroso dalle tarme. Ma - a differenza di molti animali estinti completamente cancellati dalla memoria umana - nella nostra epoca il Dodo gode di notorietà crescente e appare sempre più spesso nella letteratura, nei fumetti, nei cartoni animati, nei monili e altrove, per non parlare della serie di francobolli e di monete che lo stato di Mauritius e altri gli hanno dedicato.

La storia del Dodo ha una sua morale, evidente in questi tempi in cui si commemora qualunque evento: i potenti non esitano a uccidere, a predare, a combinare guai, salvo poi fare una bella celebrazione per pulirsi la coscienza.

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* se ne contano cinque (sei per alcuni ricercatori), cui se ne aggiungono altre cinque di minore intensità. Le cause sono tipicamente geologiche (vulcani, deriva dei continenti) o cosmiche (impatti con asteroidi) con conseguenti variazioni del clima, della superficie delle terre emerse, della temperatura e salinità dei mari e chi più ne ha più ne metta. La più drammatica fu certamente quella di 250 milioni di anni fa (fine Permiano inizio Triassico) che portò alla scomparsa dell’80% delle specie marine, del 70% delle specie di vertebrati terrestri e di quasi tutte le specie di insetti. Non vi è sicurezza sulla durata dell'evento, perché la resistenza al cambiamento ambientale degli animali e delle piante è differenziata, ma è comunque certo che si svolse in un intervallo di tempo geologicamente molto breve, pochissimi milioni di anni (per gli animali, forse meno di 100.000 anni)

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