E' stato recentemente pubblicato dall'editore SugarCo un volumetto dal titolo Teologia canina - Dio ci ha dato il cane perché ci ricordassimo di Lui. Già il titolo rivela che l'opera è quanto mai lontana da un approccio scientifico alla realtà del cane: l'autore è lo psicologo Roberto Marchesini, scrittore prolifico di manuali di spiritualità cristiana, e il libretto include interventi di sacerdoti e giornalisti cattolici. L'idea dominante del volume è che il cane esiste allo scopo di avvicinare il suo padrone a Dio. Come scrive il giornalista Maurizio Blondet, che ha collaborato all'opera: «il cane è stato precostituito per noi uomini […] per accompagnarci nella civiltà"[1].
Cometa, in tutti i suoi calendari, ha sempre tentato di rispettare l'oggettività scientifica, mantenendosi lontana dal condividere affermazioni metafisiche e confessionali, così come impone lo statuto dell'associazione. Perché, allora, abbiamo voluto aprire questo calendario con la citazione di un'opera che nasce in seno al cattolicesimo contemporaneo?
La risposta è semplice: il libro ci offre un'immagine del cane e del suo comportamento intrisa di quei valori poetici, affettivi e morali di cui la scienza non si occupa ma che chiunque abbia vissuto con uno o più cani conosce e condivide al di là della sua fede religiosa. Inoltre il contenuto del libello, depurato dagli aspetti più strettamente religiosi e finalistici, richiama i princìpi della nascente branca di studio denominata zooantropologia, focalizzata sull'analisi delle relazioni tra animale umano e animale non umano. L'elemento cardine della zooantropologia è il superamento del vissuto utilitaristico attribuito all'animale e il suo riconoscimento come soggetto paritetico dell'essere umano.
Il professor Roberto Marchesini[2] (omonimo dell'estensore del libello), figura di riferimento della zooantropologia italiana, parla esplicitamente di zootropia ovvero dell'esistenza di un meccanismo di attrazione spontanea tra l'uomo e l'animale non umano, originato non dalla necessità biologica ma dal bisogno di incontrare nuove forme di vita per espandere la propria identità e i propri valori. Una disciplina allo stato nascente ci conferma, quindi, ciò che gli amici dei cani conoscono per esperienza personale[3].
In effetti nel volumetto il cane ci appare come modello di fratellanza con l'uomo, per certi versi più umano dell'uomo stesso, memoria vivente del legame che unisce la cultura della nostra specie al mondo naturale. Non solo un compagno di strada dell'essere umano ma un suo completamento e talvolta una sua guida, un maestro, che aiuta l'essere umano a migliorarsi - a diventare più animale e dunque più umano. In ultima analisi il volumetto attribuisce al cane il ruolo spirituale che nelle società animiste è delegato all'animale guida.
Il libello è solo l'ultima delle tante narrazioni in cui il cane è protagonista, che si perdono nell'antichità. Argo è un cucciolo quando Ulisse parte per la guerra di Troia, vent'anni dopo - quando Ulisse torna vestito da mendicante - lo riconosce (è l'unico che lo riconosce! non la moglie Penelope, non il figlio Telemaco) e dopo tanta paziente attesa si spegne:
E appena, ecco, s’accorse d’Ulisse che gli era vicino,
scosse la coda, entrambe lasciò ricadere le orecchie;
ma poi forza non ebbe di farsi dappresso al padrone.
[…]
Ed Argo fu ghermito dal fato di livida morte,
poscia ch’egli ebbe, dopo venti anni, rivisto il signore.
Odissea, XVII, 300 e succ. - traduzione dal greco di Ettore Romagnoli, 1926
Argo è il più antico cane fedele che la storia ci tramanda. L'Odissea è stata scritta verso il VII secolo a.C., ma è talmente potente la sua figura da renderci certi che di cani come Argo ne siano esistiti a migliaia fin da quando l'uomo era un cacciatore nomade. E altrettanto numerosi sono quelli che lo seguirono, di cui ci è stata tramandata la memoria: dalle favole di Fedro, dalle Metamorfosi di Ovidio fino ai nostri giorni sempre i cani sono portati a modello di qualche virtù che nell'uomo è assente o appassita. «Non esiste patto che non sia stato spezzato, non esiste fedeltà che non sia stata tradita, all'infuori di quella di un cane veramente fedele» scrive Konrad Lorenz ne L'anello di Re Salomone
La fedeltà la più nota delle virtù per le quali il cane può essere portato come modello all'uomo. I Primati, di cui l'uomo fa parte, non possiedono simile qualità: gli uomini praticano il tradimento, ovvero la violazione della fiducia degli altri, ogni qual volta possono trarne un utile (la storia umana, molte delle infinite guerre dell'uomo hanno come propulsore la violazione del diritto altrui - e spesso la conseguente vendetta). Tra i cani questo non succede.
I cani sono sempre leali e altruisti. L'altruismo è così poco presente nelle vicende umane che i pochi casi sono passati alla storia[4]. Sono sinceri, empatici e fiduciosi, ci aiutano a capire e partecipare alle emozioni degli altri. I cani non sono astuti: ignorano completamente l'ipocrisia, la dissimulazione, il doppio peso e le altri armi della furbizia umana (e anche di altre specie). E l'elenco delle virtù del cane ma non dell'uomo potrebbe continuare.
Da sempre la gran parte degli esseri umani ha percepito la natura retta del cane, forse con invidia. Per questa ragione molti dei nostri progenitori ne hanno reso sacra la figura: in tutta la Mesopotamia i cani erano associati alla salute e alla guarigione (al dio Nontinugga) e venivano tenuti nei templi; in Egitto spesso venivano seppelliti con i loro proprietari, il dio Anubi, la guida nell'oltretomba, è rappresentano con la testa di cane o di sciacallo; nell'antica Grecia erano accompagnatori di eroi; tra le lapidi delle tombe romane è facile trovare epitaffi per i cani.
Non solo nel Mediterraneo. Per i Persiani il cane era un animale puro, protettore, in grado di scacciare i demoni; gli Sciti seppellivano il cane accanto al padrone (così come facevano, nel nord Europa, i Celti); nell'America precolombiana il cane era un accompagnatore spirituale sia nella vita che nell'aldilà; in Cina il cane è addirittura un simbolo zodiacale; in Giappone ha tuttora un ruolo spirituale.
Fanno eccezione le popolazioni ebraiche: nella Bibbia, così come nei Vangeli, il cane (insieme al lupo, al gatto, al leone e altri carnivori) sono raramente menzionati e anche quelle poche volte come simboli di impurità. Tanto il Cristianesimo quanto l'Islam, che affondano le loro radici nella cultura ebraica, mutuarono questa idea del cane come animale impuro, che nell'Islam permane tuttora[5] mentre nel Cristianesimo - soprattutto per effetto della cultura romana in cui si è sviluppato - il cane ha progressivamente recuperato, a partire dal Medioevo, una connotazione positiva di vigilanza, protezione e lealtà, fino a essere associato a figure di santi (come Sant'Antonio Abate, già verso l'anno 300; Sant'Uberto, verso il 700; Santa Teresa di Lizieux, fine XIX secolo)[6]. Ovviamente non possiamo dimenticare San Francesco, in un certo senso lo scopritore della zootropia[7].
Ci piace pensare che se Gesù fosse nato non in Giudea ma in qualunque altra parte del mondo, la tradizione gli avrebbe posto accanto, in luogo del bue e dell'asino (animali peraltro stimabilissimi) un cane.
nell'immagine: Bruno Caruso, Odisseo e il cane Argo, anni 2000
[1] non è questo il primo libro italiano che già nel titolo associa la teologia, disciplina creata dall'uomo, agli animali: nel calendario di marzo 2025 abbiamo incontrato una Teologia degli animali pubblicata nel 2007 da Paolo De Benedetti, strana figura di ebreo battezzato, accademico e intellettuale di altissimo livello, La tesi è la stessa: l'animale (e in modo speciale, per Marchesini, il cane) possiede la capacità di innalzare l'uomo verso il trascendente. Non è un'idea nuova: nella Bibbia possiamo leggere «Difatti dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si conosce l'autore» (Libro della Sapienza 13, 1.5). Nel medioevo questo principio era sintetizzato nella massima per creaturam ad deum
[2] veterinario, etologo, filosofo, , fondatore e direttore della Scuola di Interazione Uomo-Animale (Siua), direttore della rivista Animal Studies. tra i promotori della International Society of Zooanthropology
[3] ovviamente il rapporto affettivo tra uomo e animale non è limitato al cane, ma esteso a tutte le specie con le quali l'uomo è entrato in relazione nel corso dei millenni. Alla zootropia è dedicata una pagina integrativa dfel calendario
[4] ammettiamolo pure: opportunismo, condiscendenza, tradimento sono la norma umana. Pochi sono stati gli integerrimi, i Socrate, Gesù, Spartaco, Giovanna d'Arco, monaci e medici che hanno curato i malati a rischio della loro vita e della loro reputazione (come ognuno di noi ha potuto verificare durante l'epidemia di Covid). In epoca moderna l'altruismo è talmente raro che abbiamo dovuto inventare un termine specifico (filantropia) per individuare i pochi casi contemporanei
[5] si tratta di un'impurità che non esclude il possesso a titolo di vigilanza, protezione, lavoro. L'Islam incoraggia l'altruismo verso gli animali: un celebre racconto della tradizione parla di un uomo che riceve la ricompensa divina per aver dato acqua a un cane assetato
[6] vi fu perfino un cane - un levriero - che, pur non venendo mai canonizzato, fu riconosciuto santo (san Guniforte) dalla tradizione popolare e tale rimase per 700 anni finché il Vaticano non ne abolì il culto. Osserviamo incidentalmente che nella tradizione ortodossa medioevale San Cristoforo è spesso rappresentato con la testa di cane, come l'Anubi egiziano, anche se la cosa potrebbe essere stata provocata da un antico errore di trascrizione
[7] il Vaticano è rimasto molto legato alla concezione utilitaristica degli animali, enunciata nella Genesi. Quindi, se è pur vero che vi sono delle aperture (ad esempio sulla loro possibilità di vita eterna - vedi il nostro calendario di marzo 2025) molti religiosi (non ultimo il defunto papa Francesco) ci appaiono piuttosto critici sul valore morale della zootropia